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Jessica Raimondi

A vivere in pianura non ci volevi andare, dicevi. L’idea della nebbia come uno sfondo fisso ti terrorizzava. Avevi bisogno della ruvidezza delle montagne, della loro salvezza, della loro condanna. Nella stagione del fieno andavo assieme alla nonna nei campi con il trattore rosso. La nonna si prendeva cura di noi portando teglie colme di cibo ed una borraccia piena di vino annacquato. Poi rastrellava l’erba e ti guidava nel suo caos. Senza di lei, sono sicura, ti saresti perso nell’oscurità. Il fazzoletto sul capo legato attorno al collo. La fatica che le curvava leggermente la schiena. Oggi, al suo posto, vedo solo un pezzo di terra secca e abbandonata. Le erbacce crescono libere, indisturbate. La natura si è impossessata di tutto.

Poi l’odore di legna bruciata mi riporta a quegli inverni: alla neve alta, alla nonna e ai suoi geroglifici, ai calzini e alle sciarpe fatte a mano. A proteggerci avevamo soltanto il calore della stufa. Le preghiere riempivano i nostri silenzi.

Poi è arrivato il vero inverno: la morte del nonno, l’inizio della mia adolescenza. Ed è un po’ come se quel posto, con la sua magia, si fosse spento. Ricordo mia nonna e la sua costanza, giorno per giorno, nel tentare di tenerlo vivo. Io volevo andarmene. Non volevo più la terra, gli orti, le foglie. Volevo il cemento, la vita, le opportunità.

Sono tornata qui molte volte, finché un giorno ho iniziato a pensare che questa casa e queste montagne vivano di una vita propria, e che noi siamo stati, per questo luogo, solo un passaggio.

Progetto sviluppato in forma libro presso

Chippendale Studio

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